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Attraverso gli occhi dello Sherpa

Reading time: 4 minutes

di Luca Stefanutti

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Nepal. Agosto 2013.

Camminando su questi stretti sentieri sassosi, con un leggero velo di pioggia che nasconde le montagne più lontane (o forse di sudore che oscura la vista), inizio a capire il rispetto che provano queste persone per questo luogo. Mi trovo lungo uno dei percorsi più frequentati tra quelli diretti verso l’Everest, a circa 3100 mt. Sono al sesto giorno di cammino e ho appena incrociato uno Sherpa.

Una delle centinaia di persone che ogni giorno percorrono queste stremanti mulattiere , con carichi, fisici e spirituali, che sono inconcepibili ai nostri occhi e alle nostre menti. Gli Sherpa sono la popolazione della regione dell’Everest Nepalese e sono conosciuti per essere i migliori “portatori” del mondo. Cresciuti sin da piccoli in villaggi tra 2000 e 5000 metri, hanno sviluppato una resistenza e una capacità di trasporto a dir poco eccezionali. Bisogna infatti ricordare che la quasi totalità dei materiali, beni e strumenti necessari in queste vere e proprie città di montagna, parte da fondo valle e arriva al paese di destinazione tramite la sola forza umana. Immaginate di dover costruire una nuova casa sopra i 4000 mt (il limite massimo dove cresce la vegetazione arborea): le travi arriveranno sulle spalle di comuni uomini, come i mobili, gli utensili e cosi via.

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Continuando a camminare, attraversiamo un alto ponte sospeso e iniziamo una dura salita che ci porterà a circa 4000 metri. Accanto a me, lo sherpa Lila cammina a passo veloce e sicuro, nonostante abbia sulle spalle anche una parte del mio equipaggiamento.

Non è raro vedere gli sherpa trasportare lo zaino per i trekkers, anche se alcuni “westerners” considerano immorale o segno di debolezza ingaggiare un portatore. La faccenda va tuttavia visualizzata sotto un altro punto di vista: il portatore non è un lavoro facile e nemmeno prestigioso ma è pur sempre un mestiere e spesso è la migliore occupazione disponibile per molti nepalesi. Il fardello economico solitamente è molto più pesante del carico che devono trasportare per i turisti. Inoltre, lavorando per uno straniero, i portatori hanno l’opportunità di imparare e migliorare il loro inglese, compiendo un importante passo per la promozione sociale. Prendendo uno sherpa al proprio seguito, non solo si avrà un valido aiuto (e un amico) per tutto il trek, ma si contribuirà anche al sostentamento di una comunità.

La salita è diventata ardua, e dopo 3 ore le energie iniziano a mancare, ma ormai ci siamo quasi, stiamo per arrivare sui 4000. Passiamo intorno ad uno stupa (tempio) buddhista e saliamo un’altra decina di metri quando ad un tratto la vegetazione arborea sparisce (abbiamo superato il fatidico limite) lasciando spazio ad un lungo crinale. Ed eccola, laggiù, in tutta la sua maestosità, la montagna più alta della Terra. Ecco l’Everest.
Con i suoi 8848 mt perfora le nubi, circondata da altre montagne di eguale se non superiore bellezza. Perché Sagaramāthā (dio del cielo in Nepali) sembra una “vecchia, grassa, dama in mezzo a tante giovani danzatrici”.

Mi fermo a prendere un thè in un monastero nelle vicinanze contemplando la magnifica vista e ho la fortuna di incontrare un vecchio sherpa che tanto ha visto e tanto sa sulla montagna. Ha raggiunto 4 volte la cima con differenti spedizioni. E’ molto disponibile e inizia a raccontarmi la sua esperienza. Tuttavia, non si tratta di un racconto gioioso: la montagna talvolta richiede tributi enormi, e le ferite nell’anima sono molto più profonde di quelle che lui ha sulla pelle. L’uomo, in meno di 5 minuti, mi fa capire che quella montagna non va dominata, ma va compresa, ascoltata e rispettata. Poi si alza e mi chiede dove sto andando. “Torno a casa” gli rispondo. Con un sorriso triste mi dice “anche io”, si volta e si incammina a passo lento verso l’Everest. Va a trovare il figlio, che riposa da qualche parte sotto le coperte gelate della Madre di tutto l’Universo.

Talvolta camminare, specialmente in montagna, fa pensare molto, fa riflettere su cose che la nostra quotidianità non ci permette di esplorare. Avere l’opportunità di concedersi un attimo per sè è un lusso al giorno d’oggi, ma aiuta ad aprire gli occhi su nuove culture, nuovi modi di vivere e nuovi orizzonti, specialmente in una cornice come quella del Nepal e dell’Himalaya, così diversa dalla nostra concezione di vita.

Tuttavia non è sempre semplice, bisogna sforzarsi e comprendere al meglio chi o cosa si sta andando a scoprire. Le esperienze qui riportate cercano di descrivere un tipo di comunità spesso screditata e confusa nei termini da parte di persone provenienti da culture occidentali, una comunità dai valori e dalle tradizioni molto più forti di quanto ci possiamo aspettare, che ha creato la sua casa in uno dei posti più affascinanti e allo stesso tempo insidiosi del mondo. Si può imparare veramente tanto da loro.

Ero partito con l’idea che vedere l’Everest fosse l’unica cosa importante. Sono tornato con la felicità di avere visto  la madre di tutte le montagne, di aver percorso i suoi sentieri ed ansimato sulle sue pendici. Ma sono ancora più felice di aver vissuto questa grande esperienza in una maniera totalmente inaspettata. Attraverso gli occhi dello Sherpa.

stefanutti.luca@live.it

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2 comments
  1. Silvano

    Sono di parte , ma questo mi fa capire che l Uomo si forma conoscendo solo veri Uomini .
    E in tutte le culture i valori veri li puoi leggere, solo se ce li hai dentro .
    Bellissimo racconto che viene dal cuore .
    Bravo Luca

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