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Il virus che giustifica tutto

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Viktor Orbán è un politico ungherese, primo ministro dell’Ungheria dal 2010, carica che ha anche ricoperto precedentemente tra il 1998 e il 2002. È leader del partito Fidesz – Unione Civica Ungherese. Considerato come un partito conservatore, con istanze fortemente nazionaliste a proposito di politiche sociali e di integrazione europea, negli anni ha adottato politiche fortemente contrarie all’immigrazione. Da più parti si è guardato alla politica interna attuata da Orbán e da Fidesz come ad un processo di arresto e arretramento della democrazia in Ungheria, mossa sempre più verso una forma di stato autoritario. Il suo conservatorismo sociale e nazionale, la mirata opposizione all’immigrazione, lo spiccato euroscetticismo moderato e la difesa di concetti quali lo stato-nazione hanno attirato una significativa attenzione e critica internazionale. Come conseguenza della condotta politica di Orbán, Fidesz è stato sospeso a tempo indeterminato dal Partito Popolare Europeo a partire dal marzo 2019.

Il 30 marzo 2020, in piena emergenza mondiale in seguito al Covid-19, il Parlamento di Budapest ha votato – con 138 deputati a favore, esponenti dell’estrema destra e di Fidesz, e 53 contrari- una legge speciale. Questa, con il pretesto di dare priorità assoluta alla salute pubblica e alla lotta contro il coronavirus, ha certificato il potere incontrastato di Orbán. È grazie alla pandemia – che in Ungheria ha fatto circa 400 contagi e 15 morti – che una lista di poteri speciali è ora concentrata nelle mani di Orbán: il primo ministro ha la facoltà di governare sulla base di decreti, chiudere lo stesso Parlamento, cambiare o sospendere leggi esistenti e bloccare nuove elezioni.

Da ora in poi, spetterà a Orbán decidere il termine ultimo dello stato di emergenza. Il testo ha introdotto anche pene fino a otto anni di carcere per chi non rispetta il confinamento e di cinque anni per chi diffonde false notizie sull’epidemia.
I nazionalisti di Jobbik (partito politico ungherese nazionalconservatore, populista ed euroscettico di estrema destra) hanno gridato al colpo di Stato, perchè la situazione attuale non giustificherebbe affatto lo stato di emergenza, mentre i Socialisti all’opposizione si sono indignati di fronte a una dittatura a tutti gli effetti. Questi ultimi, durante la discussione parlamentare, hanno cercato di far inserire nel testo una limitazione temporale di 90 giorni, garantendo in cambio il loro appoggio, ma Orbán ha rifiutato. Tutti i partiti italiani hanno chiamato Bruxelles, tranne il leader della Lega: Matteo Salvini afferma che si tratti di una “decisione democratica”.

Per comprendere come sia stato possibile raggiungere la situazione attuale, bisogna analizzare gli ultimi vent’anni di storia politica ungherese.

Quattro sono state le legislature del governo Orbàn: la prima risale al 1998, la seconda e la terza comprendono gli anni tra il 2010 e il 2018, mentre la quarta è quella tutt’ora in corso. Durante la seconda legislatura, il Fidesz ha riformato l’istruzione, l’informazione (creando una Commissione Governativa di Controllo Televisivo) e il potere giudiziario (mettendo il CSM Ungherese sotto il controllo del Governo). È proprio in questi anni, e più precisamente nel 2011, intervenendo in Parlamento nel ruolo di presidente di turno dell’Unione Europea, che Orbán ha dichiarato: “Noi non crediamo nell’Unione Europea, crediamo nell’Ungheria, e consideriamo l’Unione Europea da un punto di vista secondo cui, se facciamo bene il nostro lavoro, allora quel qualcosa in cui crediamo, che si chiama Ungheria, avrà il suo tornaconto”.

Il governo di Orbàn si caratterizza per un intenso lavoro di riforme costituzionali. Nel 2011 è stata  approvata la nuova Carta costituzionale ungherese. Molti dubbi e critiche sono stati espressi in merito al processo costituente: nonostante la risoluzione 47/2010 adottata dal parlamento ungherese avesse istituito una commissione ad hoc per la redazione del testo costituzionale, composta da 45 membri (di cui ben 30 delegati dalla coalizione di governo), la bozza presentata è stata il frutto del lavoro di un comitato composto da soli tre membri, tutti di nomina governativa. Preoccupante è stata anche l’esclusione delle forze di opposizione dalla redazione del nuovo testo costituzionale, le quali ritirarono i propri rappresentanti dalla commissione ad hoc in segno di protesta contro le forti limitazioni imposte dalla maggioranza. Il governo di Budapest si rifiutò di sottoporre a referendum il testo approvato dal parlamento, preferendo una consultazione popolare in forma di “questionario” spedito a ogni cittadino ungherese, dove si chiedeva di rispondere a dodici domande come: “Deve la nuova Costituzione assumersi la responsabilità per le generazioni future?”.

Nel marzo 2013, il Parlamento ungherese ha modificato nuovamente la Costituzione su proposta di Fidesz, adottando un’importante serie di emendamenti alla Costituzione. Nonostante il voto sia stato boicottato dalle opposizioni, la larga maggioranza su cui Fidesz poteva contare in parlamento (circa i due terzi dei seggi) ha fatto sì che gli emendamenti venissero approvati con 265 voti a favore, 11 contrari e 33 astenuti. Le novità introdotte, che riguardavano tra le altre cose la limitazione del potere della Corte Costituzionale di esercitare un controllo sulle leggi approvate dal parlamento, sono state duramente criticate dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti, che le hanno definite “antidemocratiche”. In breve, d’ora in avanti la Corte costituzionale potrà esaminare cambiamenti della Costituzione solo da un punto di vista formale, non sui contenuti. Inoltre, i giudici supremi non potranno più richiamarsi a loro sentenze sul diritto costituzionale ed europeo emesse prima dell’entrata in vigore della Costituzione voluta dal partito di Orbàn. Gli studenti saranno obbligati, dopo la laurea, a restare in Ungheria per un periodo almeno lungo come il corso di laurea, e in alcuni casi fino a dieci anni, e sarà loro vietato di cercare lavoro all’estero. Se violeranno tale norma dovranno ripagare le spese degli studi superiori. Ancora, i senzatetto non potranno trattenersi e dormire in spazio pubblico, e se lo faranno saranno punibili dal diritto penale. I dibattiti elettorali saranno vietati su radio e tv private. Infine, è stata ridefinita la categoria di “famiglia”, la quale non include le coppie non sposate, quelle senza figli e quelle formate da persone dello stesso sesso. Ma già un paio di anni prima Orbán aveva fatto approvare dal parlamento alcune leggi che limitavano la libertà di espressione in Ungheria: per esempio, una legge del dicembre 2010 sottoponeva i media nazionali a un rigido controllo da parte di un’autorità nominata dal parlamento (dominato, sembra utile sottolinearlo nuovamente, dal partito Fidesz). Se ritenuti responsabili di “mettere a repentaglio la dignità umana”, le testate giornalistiche, le reti televisive e i siti internet potevano essere puniti con multe salatissime.
Lo scontro con l’Unione Europea, di cui l’Ungheria è Stato Membro, sulla questione della riforma della Costituzione è iniziata nel gennaio 2012: la Commissione europea aveva avviato ufficialmente tre procedure d’infrazione contro l’Ungheria a causa delle modifiche costituzionali, risultate incompatibili con il diritto europeo.

Rieletto per la terza volta al governo l’8 aprile del 2018, Orbàn ha continuato la sua linea di rifiuto delle quote obbligatorie UE. A questo proposito, il 20 giugno dello stesso anno il parlamento dell’Ungheria ha votato sì alla modifica della Costituzione che prevedeva una stretta sulle richieste d’asilo e inseriva il divieto di accogliere i migranti economici. Nonostante critiche e appelli giunti da più parti -costituzionalisti e le stesse istituzioni europee-, Orbàn ha sostenuto che nessuno dei punti delle modifiche sarebbe stato abrogato, in quanto le riforme difendono l’Ungheria e le danno modo di agire contro chi organizza i flussi clandestini. Del resto Orbán non riconosce nell’atto migratorio un diritto umano, una libertà fondamentale, e pone il problema del rischio di sopravvivenza delle radici culturali europee minacciate dai migranti musulmani. Tanto che il pacchetto, approvato dall’Assemblea Nazionale, conteneva un riferimento all’obbligo di difendere la cultura cristiana del paese – senza però precisare cosa questo significasse.

Nel 2020, la paura è che il governo di Fidesz non revochi le misure neppure quando la pandemia sarà sconfitta, e che la sospensione della normale pratica costituzionale in Ungheria sarà sine die. Questi timori paiono fondati: lo stato d’emergenza legato alla crisi dei migranti, voluto da Orbán nel 2015, è infatti tuttora in vigore. Questa situazione sembrava comunque preannunciata: dal 2010 Orbán ha gradualmente esteso il suo potere in Ungheria, incurante dei moniti non solo dell’Unione Europea, ma anche delle comunità internazionale e delle associazioni dei diritti umani, tanto che, al richiamo del Consiglio Europeo del marzo scorso, preoccupato per uno stato di emergenza indefinito che non garantisce i principi base della democrazia, il leader ungherese aveva semplicemente deciso di ignorare l’ennesimo monito internazionale.

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