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Economics

Renew or Restore?

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Siamo giunti a un bivio. Superata (o quasi) la tempesta economica più forte e devastante che il mondo abbia vissuto dalla Grande Depressione, o si cresce e si torna ad essere competitivi o si è destinati a ristagnare per i prossimi 50 anni.

E l’Europa che fine fa? Sarà definitivamente spodestata dal trono su cui ha vissuto per secoli dai paesi Asiatici? Oppure avrà ancora qualcosa da dire?

L’ex primo ministro britannico Tony Blair ha proposto, in un articolo apparso sul sito della CNN il 3 dicembre, la sua ricetta. Si tratta di scegliere: restore o renew? Ossia, rinnovare o restaurare? E’ importante innanzitutto sottolineare la differenza etimologica tra questi due termini, perché mentre renew deriva dal latino novus, che indica qualcosa di giovane e di totalmente nuovo, differentemente restore deriva dal verbo instauro, il cui significato è sempre quello di rinnovare ma basato sull’idea di riprendere qualcosa di preesistente.

Tutto verte attorno al cambiamento: non dobbiamo continuare a fare le stesse cose con meno risorse, ma rinnovarci. Esempio da cui bisogna prendere spunto sono i BRICS e tutti quei paesi con tassi di crescita molto alti. Attenzione: è però importante non considerare il tenore di vita a cui questi paesi sono abituati perché è in queste cosiddette emerging economies che accadono i cambiamenti più radicali ed efficaci.

L’ex premier britannico si focalizza su tre punti da seguire.

Possiamo affrontare a viso aperto paesi come Cina, India e Stati Uniti soltanto come Europa unita. La Gran Bretagna ha dimostrato negli ultimi tempi una posizione decisamente ostile nei confronti dell’UE e si sono addirittura sollevate voci di una possibile ma non imminente uscita. Per questo motivo, nel discorso tenuto al Business for new Europe a Londra lo scorso 28 novembre, lo stesso Blair ha sottolineato l’importanza della Comunità per l’isola Britannica. Quest’ultima infatti, non solo perderebbe il suo ruolo di leadership globale e la sua presenza all’interno del processo decisionale delle regole del mercato europeo, ma anche una grandissima opportunità di collaborazione su più tematiche molto importanti, come l’ambiente e i cambiamenti climatici.

Bisogna riformare il sistema internazionale. Il G8 è anacronistico e G20 e ONU non hanno una vera linea di potere e responsabilità. E’ necessario trovare un nuovo punto d’incontro che permetta di demarcare linee decisionali più chiare, le quali ovviamente devono presentare un evidente riscontro a livello empirico. Sono necessari dei punti cardine che ci permettano di proseguire in un percorso di crescita globale.

Investire in Africa. La Nigeria è ormai un BRICS, i tassi di crescita si aggirano intorno al 5%-8% e c’è una forte riduzione del tasso di povertà. Il cammino verso la democrazia e la stabilità è ancora lungo e tortuoso, ma con l’aiuto dei paesi occidentali non solo si potrà raggiungere questo obiettivo prima, ma anche riuscire a instaurare importanti legami economici. Primo fra tutti è la fornitura di petrolio, fonte di energia necessaria ancora per molti anni vista la mancanza di valevoli alternative.

Il grande punto interrogativo tuttavia è: “riuscirà l’Europa a uscirne compatta?”. Da qui parte il vero inizio per il cambiamento perché se non c’è accordo, non c’è unione, e se questo manca, la Comunità Europea non potrà che essere soltanto una pura formalità politica, priva di qualsiasi vero contenuto.

E’ necessario prima di tutto arginare tutti quei moti scissionistici che stanno animando i movimenti politici di tutto il continente e accendere quello spirito di solidarietà che è da sempre mancato all’Unione Europea. Non è infatti mai esistito realmente un sentimento di appartenenza comune a tutti i paesi della Comunità tale da portarci ad una vera collaborazione a livello economico. Bisogna affrontare i mercati insieme, aiutandosi a vicenda ad attuare dei piani di crescita congiunti che permettano all’Europa di affrontare la crescente globalizzazione. Convogliando in un percorso comune le sinergie possiamo essere competitivamente alla pari di paesi come Cina e Stati Uniti.

Inoltre è necessario creare forti legami con i paesi che prospereranno di più nei prossimi anni. Primi in assoluto sono i vicini paesi del Nord Africa e del Medio Oriente. Il loro potenziale risiede soprattutto nel riscatto a cui puntano dopo anni di repressione e, con l’aiuto della Comunità Europea, si possono raggiungere grandi obiettivi. Per questo motivo l’annessione parziale (ma non ancora del tutto completa) della Turchia sarebbe importante per dimostrare l’apertura nei confronti di una cultura diversa da quella Occidentale. L’Europa non ha mai mostrato una chiara linea d’azione, soprattutto considerando l’alto tasso d’immigrazione e l’ormai consolidata convivenza di queste culture nelle città europee.

Oltre a ciò non dobbiamo sottovalutare il fattore sudamericano. Non solo Brasile, ma anche Messico. Nonostante il problema della droga (recentemente in lieve calo), questo paese registra forti tassi di crescita e sviluppo che, secondo alcune indagini, vedremo realmente nell’arco di una cinquantina d’anni: secondo quanto riportato dall’Economist, gli Stati Uniti nel 2050 importeranno di più dal Messico che dalla Cina. Nelle elezioni americane non si è mai toccato questo argomento e attualmente gli americani non sembrano dimostrare un grosso interesse; allora perché non intervenire? Per esempio, si potrebbe puntare sul fattore lingua che permetterebbe alla Spagna di divenire un canale di intermediazione e collegamento con queste economie.

Come quindi suggerisce Blair, non dobbiamo avere paura di cambiare e intraprendere nuove sfide. Rinnoviamo i nostri piani e puntiamo a crescere insieme e globalmente, altrimenti abbandoniamoci ad un nostalgico ricordo di un’Europa mai realmente esistita.

Lorenzo Cinelli

lorenzo.cinelli@studbocconi.it

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