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Economics

Di quale crisi stiamo parlando?

Reading time: 5 minutes

Vittorio2Di Vittorio Graziano

Stiamo assistendo alla più grande crisi economica della storia dell’Italia unita: per il quindicesimo trimestre consecutivo il PIL italiano è in diminuzione. I proclami governativi si susseguono uno dopo l’altro, ma gli effetti reali dei provvedimenti presi sono di piccola entità se non controproducenti.
Questa situazione di crisi economica perdura oramai dal 2008, anno in cui il termine “crisi” per la prima volta si è affacciato nel vecchio continente. Com’è noto, la crisi si è originata nel settore bancario, costringendo diversi Paesi al salvataggio dei propri istituti di credito. Ha in seguito generato un progressivo rallentamento dell’economia europea e americana trasformandosi in crisi del debito pubblico, soprattutto a causa delle ingenti spese sostenute per i salvataggi bancari e dell’entrata in vigore degli ammortizzatori sociali per i molti cittadini rapidamente impoveritisi (senza dimenticarsi del rallentamento dell’economia reale, che ha reso meno “sostenibili” i debiti pubblici stessi).

Il 2010 è stato l’anno più critico per la situazione economica europea e per la sostenibilità del debito degli stati periferici, soprattutto della Grecia.
Attualmente la crisi del debito pubblico sembra continuare e, anzi, essere arrivata a un punto di svolta. Da anni la Grecia è alle prese con serie difficoltà economiche e allo stato attuale è costretta a chiedere prestiti ponte per sopperire alle spese mensili dell’amministrazione.

Le preoccupazioni per la sostenibilità del debito ellenico e per un’eventuale grexit stanno giustamente catalizzando l’opinione pubblica e mettendo in moto meccanismi che possano almeno permettere il risveglio dall’incubo dei debiti sovrani non sostenibili.

Tuttavia, la vera domanda che tutti noi -e in modo ancora più approfondito i politici italiani e del resto d’Europa- dobbiamo porci è quali siano le vere cause della crisi attuale.
A prima analisi diremmo che la crisi di per sé nasce negli Stati Uniti e contagia solo successivamente l’Europa, così come che la colpa sia quasi esclusivamente americana. La realtà però è diversa. Lo tsunami statunitense ha colpito l’Europa, trovando terreno fertile nella precaria situazione finanziaria del vecchio continente.

L’introduzione dell’euro ha di fatto creato un’enorme bolla finanziaria. Il venir meno dei rischi di cambio con l’introduzione dell’euro ha portato all’erogazione di prestiti a dir poco eccessivi tra i Paesi dell’eurozona, più precisamente dai Paesi centrali (Germania, Francia, Olanda) a quelli periferici (Italia, Spagna, Grecia, Irlanda, Finlandia).

Molti sono gli studiosi che hanno analizzato questo problema e identificato in questo la fonte della crisi prima finanziaria e poi del debito pubblico. Uno di essi, Hans-Werner Sinn, arriva alle seguenti conclusioni: «The euro crisis arose because investors have mispriced the risks of investing in southern Europe. This was the reason for the inflationary credit bubble that deprived a number of countries of their competitiveness» (Sinn, 2013). Conclusioni identiche, peraltro, a quelle cui giungono gli autori che si sono occupati della crisi europea prendendo le mosse da quelle verificatesi nei Paesi emergenti nell’epoca della globalizzazione, come Frenkel e Rapetti (2009).

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Il vice presidente della BCE, Vitor Constancio, il 23 maggio 2013 ad Atene affermava: «Penso che per avere un’idea più accurata riguardo le cause della crisi non si debba guardare solo alle politiche fiscali: gli squilibri si sono originati per lo più dalla crescente spesa nel settore privato, finanziata dal settore bancario dei Paesi debitori e creditori».

Purtroppo quest’analisi della crisi economica è passata totalmente in secondo piano nel dibattito politico e nella ricostruzione che i maggiori media hanno fatto della crisi. Il messaggio pressapochista che è passato per televisioni e giornali è che la crisi nella quale ci troviamo sia dovuta  unicamente ai comportamenti sbagliati degli stati del Sud Europa, i quali hanno “vissuto al di sopra delle loro possibilità”. È questo l’errore nel quale è facile cadere. Sicuramente i debiti pubblici eccessivi sono un problema grave e provocano degli squilibri, ma non sono la causa unica della crisi dell’economia reale e di sicuro non sono la causa fondamentale per cui l’Europa non riesce a riprendersi dalla depressione in cui si trova.

Se vogliamo ricercare le cause prime della crisi, dobbiamo andare ad analizzare alla struttura dell’area euro. Abbiamo “deciso” di costruire un’area valutaria ottimale (AVO) senza però che l’Europa ne avesse le caratteristiche, senza che fosse dotata degli strumenti necessari a evitare l’insorgere di situazioni di crisi né di quelli adatti a governarli e tamponarli nel caso si fossero verificati.
Ad affermare questa inadeguatezza dell’Europa a essere un’area AVO non è solo chi scrive, ma anche una grandissima parte della teoria  economica che si è occupata di questioni legate alla costruzione di aree valutarie ottimali. A titolo d’esempio si può citare un professore estremamente stimato e conosciuto come Alberto Alesina, che ha messo in luce tutte le problematiche dell’unione monetaria in un famoso articolo del 1997 edito sul Corriere della Sera (“I quattro grandi bluff dell’unione monetaria” , 15 dicembre 1997). Leggere questo articolo basterebbe per capire come le motivazioni dell’unione monetaria siano state tutto fuorché economiche.

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L’idea dell’introduzione dell’euro è stata eminentemente politica e partiva dal concetto che l’introduzione della moneta unica avrebbe velocizzato l’unificazione politica dell’Europa, secondo un processo tale per cui l’emergere di problemi molto seri (come una crisi economica) avrebbe costretto i singoli Paesi europei a cedere la propria sovranità, affidando la risoluzione della crisi a un governo sovranazionale e comunitario.

Effettivamente, in tutti gli studi riguardanti la costruzione dell’area valutaria ottimale, l’unità di governo (e soprattutto di parte del bilancio) è indicata come una delle caratteristiche necessarie ma non sufficienti per garantire la sopravvivenza dell’unione monetaria stessa.
L’errata analisi della crisi economica, con la colpevolizzazione degli Stati del sud Europa, ha reso ancor più difficile l’unione di bilancio e se nel 2009 Paul De Grauwe affermava che: «Il bilancio Europeo ammonta solo all’1.2% del PIL complessivo, mentre solitamente i bilanci nazionali assorbono fino al 40-50% del PIL. Pertanto, almeno per quanto riguarda il prossimo futuro, un meccanismo di centralizzazione del bilancio non è un’opzione disponibile» ad oggi, con tutte le tensioni in corso, una centralizzazione di bilancio è da considerarsi quasi utopica.
Come può effettivamente un politico tedesco spiegare all’elettore medio che per far sopravvivere un’area valutaria è necessario che ci siano trasferimenti fiscali dalle zone in surplus verso quelle in deficit, quando negli ultimi anni ha passato il tempo a spiegare come l’Europa meridionale fosse improduttiva, indisciplinata e spendacciona? E come può allo stesso tempo sperare di essere rieletto?

Tornando alla questione della genesi della crisi economica questo grafico può essere molto esplicativo.

L’esplosione del debito privato è enorme per tutti i PIIGS, i quali possono reperire capitali a bassi tassi d’interesse e con estrema facilità vista l’enorme offerta. Il debito pubblico al contrario non esplode, ma aumenta in modo contenuto per alcuni dei PIIGS  e diminuisce per la maggior parte degli Stati ad oggi in crisi (Italia, Spagna, Irlanda).

L’aumento del rapporto debito  pubblico PIL si verifica a partire dal 2008 e culminerà nella crisi del 2010 e nel processo degenerativo tutt’ora in corso, con l’aumento del debito non compensato da un parallelo aumento del PIL.

Rapporto DeficitPIL 2007 2008
Italia 103,60% 106,30%
Grecia 95,56% 99,19%
Spagna 36,6% 39,72%
Irlanda 25,04% 44,37%
Portogallo 62,73% 65,35%
Germania 64,91% 66,35%
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Fonte: International Monetary Fund data and statistics

Affermare quindi che la crisi in cui ci troviamo sia una crisi di debito pubblico non è del tutto esatto. La crisi è di debito privato e ha successivamente  portato a una crisi di debito pubblico, ormai non più sostenibile.
Il problema di un’efficace analisi della crisi è centrale, perché continuando a perseguire politiche di breve se non brevissimo respiro non riusciremo a uscire dalla grave situazione in cui ci troviamo; l’unico modo per cambiare rotta è sviluppare un serio dibattito sulla crisi e sulle sue cause così da correggere i molti errori commessi, prima che sia troppo tardi per il sogno europeo.

Vittorio.Graziano@studbocconi.it

One comment
  1. giona

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