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Merito a scuola: quattro amari criteri

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istruzione

Di Michele Canzi

Aristotele scriveva che le radici dell’educazione sono amare, ma i suoi frutti assai dolci. Il tema della scuola è ora uno dei tasselli nel mosaico scolorito di riforme dell’attuale governo. Quantomeno ora la scuola ritrova nel dibattito pubblico il ruolo che le compete, orfana di un principio realmente meritocratico. Ristabilire il merito come architrave della didattica è fondamentale, ma soprattutto controverso. Negli Stati Uniti e in Svezia una proposta di riforma è già in fase di studio da tempo.

La soluzione si impernia su un problema semplice ma articolato: costruire un sistema di incentivi per misurare la performance degli insegnanti che ne rifletta il merito. I test INVALSI e PISA (quelli che vantano longevi primati scandinavi e che in Italia sono stati largamente boicottati di recente) soffrono di un vuoto concettuale che riguarda la misurazione della performance dei docenti: essi infatti misurano direttamente le abilità dello studente, non quelle del suo insegnante. Quindi si è ritenuto necessario costruire un sistema di misurazione equo ed efficace per poter operare una discriminazione tra le cattedre mediocri e quelle di qualità. Questo sistema si snoda su quattro aree di valutazione ponderata che compongono un giudizio sintetico del docente. La prima di queste è il rendimento della classe, ma in forma relativa e non assoluta (a differenza del test INVALSI): ciò significa che viene valutato negli anni il miglioramento della classe dovuto al contributo del docente. Un secondo criterio riguarda la costanza dell’apprendimento degli alunni, attraverso verifiche pre-concordate (ma anche a sorpresa) ad opera di osservatori specializzati, inviati dal singolo distretto scolastico. Il terzo criterio si chiama community outreach e ritaglia all’interno della proposta uno spazio adeguato alla considerazione del contesto socio-economico dell’istituto. In altre parole, gli insegnanti che lavorano in quartieri periferici, multietnici e a maggiore tasso di criminalità verranno valutati con equilibrata considerazione di questi fattori, creando un forte incentivo per i meritevoli a migrare verso scuole ritenute più difficili (un flight to quality al contrario, insomma). Inoltre, questo criterio valuta anche l’impegno del docente ad impegnarsi personalmente nella risoluzione di difficoltà di integrazione, apprendimento e altri fenomeni che possono scaturire da un contesto svantaggiato: un “No child left behind” all’italiana, per chi ricorda l’amministrazione Bush.

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Il quarto criterio, ultimo nell’ordine per importanza, riguarda la professionalità del docente che si traduce negli aspetti più banali di puntualità in aula e partecipazione alle riunioni. È considerato un fattore igienico, ossia non si accumulano bonus per comportamenti virtuosi, ma note di demerito per gravi o ripetute mancanze.

La somma ponderata di questi quattro criteri restituisce un punteggio tra 100 e 400. Non ci sono soglie minime di accettabilità, ma distribuzioni normali della popolazione docente: la fascia bassissima degli insegnanti, circa il 3%, verrebbe licenziata in tronco. Cartellino giallo per la fascia medio-bassa, il 20% successivo: un anno di tempo per progredire in graduatoria, pena il licenziamento. La fascia media comprende circa il 65% degli insegnanti, a cui non viene assegnato alcun premio né pena. La restante porzione, che comprende tra il 10 e il 15% degli insegnanti raccoglie i più meritevoli, a cui viene assegnato un bonus monetario una tantum (nella proposta, fino a 25.000$). Il bonus è erogato consecutivamente per un quinquennio come premio per chi rimane in fascia alta per due anni consecutivi. L’idea è che gli incentivi monetari non solo producano un miglioramento della qualità degli insegnanti, ma di riflesso anche quello degli alunni.

Non vi è assoluta certezza sull’efficacia su un sistema simile, anche se i dipartimenti svedesi di public policy intravedono le prime evidenze scientifiche dell’applicazione di questi criteri. Si attendono a riguardo le grida dei sostenitori del merito nella scuola pubblica, che per anni sono stati eccezionalmente vocali nel denunciarne l’assenza. Come si vede dalla proposta, esiste qualcuno che si cimenta sul tema del merito nella scuola e lo interpreta come una cerniera tra uguaglianza e libertà: uguale trattamento di partenza nella libertà di produrre risultati ineguali in base ai propri sforzi e ai talenti ricevuti in sorte, come unica giustificazione di premi e punizioni. In attesa di frutti un po’ più dolci, tra qualche decennio.

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